Fino al 9 gennaio 2022 è visitabile la mostra personale Del silenzio e della trasparenza di Vincenzo Scolamiero presso il Palazzo Pubblico – Magazzini del Sale di Siena.
La mostra è presentata dal Comune di Siena, ideazione e cura inner room – Siena, ed è realizzata in collaborazione con l’Accademia Musicale Chigiana di Siena, la Galleria Edieuropa QUI arte contemporanea di Roma, e con il patrocinio dell’Accademia di Belle Arti di Roma e del Museo d’Arte Contemporanea Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona di Rende (CS).
Disponibile anche il catalogo con testi delle storiche dell’arte Francesca Bottari, Tiziana D’Acchille, Giuliana Stella, pubblicato da De Luca Editori d’Arte in Roma.
In collaborazione con l’Accademia Musicale Chigiana di Siena, una selezione di tavole del libro/opera “Ogni cosa ad ogni cosa ha detto addio”, realizzato con la compositrice Silvia Colasanti, sono esposte nei locali della Chigiana Art Café, in Via di Città, 89, Siena.
Il dialogo tra pittura, musica e poesia vanta una solida tradizione italiana. Spartiti, antifonari, note e pentagrammi sono sempre apparsi nei dipinti, dal Medioevo all’Ottocento; e innumerevoli artisti, nel tempo, sono stati musici e poeti, compositori o esecutori, in un dialogo costante che solo agli esordi del secolo scorso si trasforma nell’inedito linguaggio dell’astrazione, allorché la pittura trova nel lessico musicale o lirico la ragione per abbandonare le forme della realtà, e con esse la mimesi.
Eppure tra i vasti ambienti in laterizio, splendido esempio di recupero di spazi pubblici fino a mezzo secolo fa dimenticati, sono esposti una sessantina di lavori nei quali il rapporto tra le tre arti non proviene dalla tradizione, né attinge a scontate reciprocità, ma fonda una prassi espressiva vitalissima e nuova.
Protagonisti della personale di Vincenzo Scolamiero, che già dal titolo Del silenzio e della trasparenza argomenta in bella forma arcaica lo spirito che la anima, sono alcuni recenti cicli di grandi tele e quaderni d’artista. Lavori eseguiti con pigmenti vari, inchiostri, chine e scintillanti polveri metalliche, a comporre forme solide e piane, lastre di colore e pieghe terrestri, tagliate dalla luce e scompaginate da un vento ancestrale.
Il tema centrale è, certo, il rapporto con la musica e la poesia, e celebra l’incanto che l’artista romano ha provato nell’incontro con alcuni grandi compositori contemporanei – tra gli altri, Birtwistle, Ades, Reich, Adams e certa musica minimalista o liturgica, oltre al suo amato Luigi Nono, cui è dedicata una sezione – e in quello con i tanti poeti cari, cui si aggiungono alcune recenti scoperte, quali le liriche del premio Nobel Louise Glück. Ma per Scolamiero musica e poesia non sono riecheggiamenti, né evocazioni di atmosfere. Il rapporto è necessario e reciproco: la sua pittura si nutre di esse, ne trae senso e ne restituisce immagine, in una fluidità di relazioni e rimandi che cerca tra le arti un filo conduttore eterno e immutabile.
Ogni potente suggestione nuova non fa che esaltare forme e spazi già sedimentati, nella ricerca figurativa di Scolamiero, che sia la forza primigenia delle composizioni di Birtwistle a sommuovere come un terremoto le zolle e le carte dipinte, o l’ossessiva ciclicità dell’antifona medioevale che scarta di un soffio il ritmo di alcune sue serie figurative, oppure l’eco tellurica dei versi della Louise Glück che aiuta l’artista a esplorare le profondità dell’ombra.
Ma un terzo protagonista accende le tele in mostra. Se la poesia e la musica alimentano l’immaginazione e indirizzano le forme, una recente sperimentazione materica ne orienta il lume, per dirla con Leonardo, e nel contempo restituisce concretezza e verità alla tensione ideale: con l’uso originalissimo di preziose polveri lamellari, le stesse usate nei laboratori di restauro e doratura, Scolamiero accumula altro spazio, spinge verso il piano limite dei dipinti con ampie stesure luminescenti – declinando ori rosati, arancio e grigi – che si piegano come lastre preziose sotto una forza misteriosa. L’oro invade tutto, dalle superfici luminose alle più oscure cavità, accende le ombre e risplende nei colori. E sembra, qui al pianterreno del Palazzo Pubblico, volere rendere omaggio all’illustre scuola senese che dal Medioevo al Rinascimento ha insegnato a generazioni di grandi artisti a stendere dolcemente la foglia dorata sui fondi lignei, poi a lucidarla e a punzonarla per le aureole, gli orli dei manti, le cornici e le ali degli angeli.
Alle tele si aggiunge la produzione di tre cicli di libri d’artista, altro modello raro di commistione tra lessico musicale o poetico ed espressione figurativa. Gli esemplari sono frutto della collaborazione con il poeta Milo De Angelis – da cui sono state realizzate 12 opere uniche – e con la compositrice Silvia Colasanti, dallo scambio con la quale ne sono uscite sette del tipo partitura/pittura.
Un terzo libro d’artista è stato commissionato dalla Federazione Unitaria Scrittori Italiani per il settimo centenario della morte di Dante Alighieri. È un’altra delle speciali sperimentazioni espressive in cui Scolamiero lascia sgorgare e scorrere il flusso della fascinazione sollevata dalla grande poesia dantesca, per poi incanalarla nel serrato e rigoroso processo della creazione artistica.